Teen Dream era stato l’album della vita, una roba unica, e Bloom doveva dare quindi risposte. Il quarto album dei Beach House esce ora, 2012, Maya e dream pop a palate che un po’ fai anche fatica a distinguere.
Ma lo stile dei Beach House è quello che ai primi secondi di ascolto di Myth già riconosci, e ti resta dentro e ti ammalia e sembra che davvero ti voglia bene.
Come detto, Teen Dream è stato un album da dio, Bloom è un album da gesù. Non che sia meno bello o cose del genere. Dio ha creato, il messia ha pensato a divulgare la sua parola. Non puoi dire chi dei due abbia influito di più, lo fanno entrambi e basta. Se poi uno ci credesse sarebbe ancora meglio, magari è questo il problema.
Torniamo a ‘sto quarto lavoro degli amici dal Maryland. In questo panorama con un po’ di foschia, vuole venire a portare un po’ di luce, a fare una certa impressione. Questa era l’intenzione dei Beach House. Questa è ancora la loro intenzione.
Guardiamo la copertina: sembra davvero un lavoro studiato per restare impresso lì nelle menti, qualcosa al livello di Merriweather Post Pavilion.
L’ascolto si rivela così come ce lo aspettavamo, crea la sua atmosfera soffice e bianca, anzi un colore che va sul perla, e immagini tante piume candide cadere da un palazzo di 300 metri e poggiarsi a terra piano. È un incantesimo ma non come quelli di Amelia ai danni di zio Paperone, è uno di quegli incantesimi che vorresti.
I Beach House non sono cambiati, anzi forse hanno cercato anche di fare le cose nel modo meno complicato possibile.
Bloom non arriva al livello di Teen Dream, in definitiva, ma è la conferma che i Beach House hanno preso il dream pop e l’han fatto loro.