Sentite, voi, fate una bellissima cosa. Lasciate stare i sofistisolonisapientoni che hanno spalato merda su questo disco, dicendo ( i più ) di “aspettarsi onestamente decisamente molto di più dal terzo disco dei Blood Red Shoes”. Cagate, tutte cagate. Non state a sentirli, mi raccomando, fatelo anche solo per il vostro bene.

In time to voices è il lavoro cui, per loro stessa ammissione, i Blood Red Shoes hanno dedicato più tempo: hanno passato tutto il 2011 a scrivere i testi e hanno cercato di non lasciare nulla di incompiuto e/o imperfetto. E, sì, è chiaro, non hanno tirato fuori nè un Is this it, nè un The Libertines, e nemmeno un Funeral, ma questo è un album sul serio molto piacevole e c’è davvero poco poco di negativo. Tipo Lost kids e Down here in the dark, due pezzi che davvero rompono immediatamente le palle al primo ascolto dopo circa 7” netti. Ma il resto è tutto materiale molto buono e apprezzabilissimo, a partire dall’omonima In time to voices, passando per Cold, Two dead minutes e la laconica quanto dirompente e immediata Je me perds.
Recupero il fiato così ricapitoliamo. Di certo questo disco non sarà l’album del mese, al massimo sarà l’album del giorno..anzi, facciamo della settimana, via, ma le critiche che gli son state scagliate addosso son davvero immeritate e quasi ingiustificabili, non poggiano su basi concrete. Ok, magari sì, ci si poteva aspettare di più dal terzo lavoro di Laura e Steven da Brighton, ma ci hanno lavorato tanto e si vede. Si sente, soprattutto.